Bagat Mario nasce a Monfalcone (GO) nel 1935 scomparso nel 2018 ha operato in Friuli-Venezia-Giulia nella specifica di Corrente figurativa .
Mario Bagat nasce a Monfalcone (GO) nel 1935 è mancato il 05 giugno del 2018, artista affermato e conosciuto come pittore naïf. E' vissuto a Turriaco (GO) fino al 1960 dove, fin da ragazzo, ha cominciato a dipingere.
Il suo percorso artistico è ricco di presenze in mostre collettive a carattere regionale, nazionale ed internazionale, per la sua arte ottiene riconoscimenti di prestigio come la MEDAGLIA del PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA al Museo Nazionale dei Naïfs Italiani “Cesare Zavattini” di Luzzara (RE). In questo Museo, inoltre, due sue opere sono esposte accanto a quelle dei più importanti pittori naïfs italiani e inserite nel catalogo dei beni artistici e storici della Regione Emilia Romagna.
Renato Bolondi, fondatore nel 1967 assieme a Cesare Zavattini di questo prestigioso Premio, ha definito Mario Bagat “artista modesto e fantasioso, che appartiene al gruppo dei “pilastri portanti”, della Rassegna Nazionale d’Arte di Luzzara (RE).”
Riceve molte volte il 1° Premio assoluto (sezione Naïf) al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci” di Milano.
Ampia documentazione sulla sua attività artistica si trova al Kunsthistorisches Institut in Florenz, (Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze), al Museo Nazionale dei Naïfs Italiani “Cesare Zavattini” di Luzzara (RE), al Museo Internazionale d’Arte Naïve di Jaèn in SPAGNA e all’Archivio Storico dell’Arte Contemporanea della Bisiacaria di Turriaco (GO).
L'artista Mario Bagat - https://www.artebisiaca.it/artisti/dettaglio?artista_id=5
Nel 1995, Mario Bagat alla 25° Rassegna Internazionale per pittori Naïfs “Giannino Grossi” di Varenna (LC), ottiene il “superpremio” della giuria per il miglior quadro di quell’edizione, nel 2000 l’Istituto Italiano di Cultura di ATENE inserisce una sua opera in un’importante rassegna allestita presso il Centro d’Arte Contemporanea di Làrissa (GRECIA).
Con l’opera “Il posto delle lavandaie" esposta al Museo Nazionale dei Naïfs Italiani di Luzzara (RE), partecipa nel 1988 ad una mostra collettiva allestita nella sala municipale de L’Aubette Place Klèber, a Strasburgo, sede del parlamento europeo.
Un’opera di Bagat è esposta in permanenza al Museo Internazionale d’Arte Naïve di Jaèn (SPAGNA), fra circa 500 opere di artisti provenienti da oltre 40 nazioni.
L'artista ha illustrato cartoline ufficiali e copertine di riviste a carattere culturale. Numerosi poeti locali si sono ispirati ai suoi quadri ed una sua opera è stata destinata al vincitore del “Premio Nazionale di Narrativa” (edizione 1986) organizzato a Monfalcone.
- Mario Bagat è inserito in un’importante pubblicazione dedicata ai più significativi pittori naïfs Italiani “Arti Naïves” accanto a nomi quali Antonio Ligabue.
- Le sue opere sono pubblicate nel dizionario degli Artisti di Trieste, dell’Isontino dell’Istria e della Dalmazia (Trieste Hammerle Editori 1996-2001) ed in altri numerosi cataloghi relativi a rassegne d’arte naïve nazionali ed internazionali.
- Nel 2003, l’amministrazione comunale di Monfalcone ha reso omaggio al pittore, in occasione dei 25 anni di attività, con una mostra personale tenutasi presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea ponendolo “tra gli artisti che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo culturale ed artistico della città e che meglio rappresentano, con la loro opera, il clima artistico monfalconese ed isontino della seconda metà del Novecento”.
- Sempre nel 2003, l’Amministrazione comunale di Turriaco gli dedica una mostra personale, “Storie vere”, in occasione dell’apertura della nuova sala del consiglio comunale.
INTRODUZIONE ALL’ARTE PITTORICA DI MARIO BAGAT
L’artista Mario Bagat crea magistralmente un linguaggio personale che nasce dalla corrente della pittura naïf, un’espressione artistica che Bagat rivoluziona rimanendo sempre legato alla natura, alla poesia, alla letteratura, all’arte, al contatto sociale. Nelle sue opere si evince un’anima profonda, l’energia mistica insita nelle sue opere ignora il materialismo più ormeggiato.
Le tematiche ricorrenti nelle opere di Bagat sono la famiglia, l’amore, la semplicità, la vita contadina, ma anche le problematiche e i tormenti dell’esistenza. Atmosfere fiabesche echeggiano sulla superfice pittorica animata da una colorazione calda, sofisticata che evidenzia tonalità e sfumature. Colori ad olio su tela ma anche pittura su vetro è la tecnica felicemente proposta dall’artista Mario Bagat che riesce a servirsi della sua bravura tecnica e del suo caratteristico stile, per realizzare dipinti su vetro in una storia di vita e di immaginazione, raggiungendo risultati sorprendenti ed unici.
PRESENTAZIONE DELL'ARTISTA MARIO BAGAT Emozioni naives - I COLORI DELLA MIA TERRA
"Des dorme, doman pensaremo": nel dormiveglia le parole di mia madre sembravano ovattate: mio padre non rispose; aprii gli occhi, e sul ripiano della finestra nel controluce lunare, vidi luccicare due monetine: subito pensai che sarebbero servite per il pane razionato che ogni mattina speravo di trovare. Piccoli momenti come questi, mi fanno ricordare che la guerra mi aveva donato un’infanzia difficile, ma sicuramente, senza che me ne rendessi conto, a superare le innumerevoli difficoltà quotidiane è stato il luogo meraviglioso dove i miei genitori, fin da piccolo mi portarono a vivere: una casetta bianca di due sole piccole stanze, che l’amore di mia madre e l’ingegno di mio padre, con poche umili cose la fecero sembrare a un posto fatato: circondata da prati verdi e pescheti fioriti, filari di gelsi e boschette d’acacia. Era un angolo di paradiso: dico era, perché soltanto qualche trincea di cemento armato ha potuto resistere alla furia delle ruspe. Ma i miracoli esistono ancora e quella casetta è stata risparmiata: seppur fatiscente, sta ancora lì a ricordarmi quelle stagioni meravigliose nel cuore della “Bisiacaria” dove, anche un giorno di nebbia sembrava magico: credo che aver vissuto in quel luogo, fra tanti colori, sia stato determinante per la mia passione di dipingere. E i ricordi che mi riaffiorano alla mente, quasi sempre sono legati ad un colore: già allora, ogni colore mi dava emozioni e stati d’animo diversi: ricordo chiaramente un fiore piegato sugli scalini di casa soltanto perché era giallo, i modesti mobili di casa mia, perché erano dipinti di un colore verde intenso che spiccava sul rosa delle pareti; la sera, con i gomiti appoggiati sul tavolo, mi piaceva osservare la lana bianca di pecora che mia madre filava sotto la fioca luce di una lampada: quel bianco mi lasciava indovinare una miriade di colori che inspiegabilmente mi attraevano. Ma i colori che mi attraevano di più, erano quelli del mattino quando le ombre erano lunghe; forse la rugiada li rendevano più brillanti, ma erano diversi.
E diverso fu anche quel mattino che mia madre mi svegliò prima del solito; era un giorno di neve e la stanzetta era immersa in uno strano biancore: sulla sedia, la cartella di cartone preparata la sera prima: qualche quaderno, un astuccio di legno con penna e pennini, una matita, una gomma per cancellare; sul fondo, quasi nascosta, una scatolina con piccole matitine di legno dalle punte colorate: erano i miei primi pastelli, le prime emozioni di colorare sulle pagine quadrettate di un quaderno. Credo che quello fosse stato il primo giorno di scuola della quale conservo solo qualche sbiadito ricordo. Ricordo bene però, che ogni giorno all’uscita, mi fermavo davanti la vetrina del giornalaio per ammirare le cartoline dipinte a mano da sconosciuti pittori: ancora oggi le ricordo come dei veri capolavori. E proprio in quella vetrina, un giorno notai con interesse una piccola tavolozza di cartone corredata da cinque o sei colori ad acquerello: un piccolo elastico teneva fisso un corto pennellino fatto di piuma d’oca. Dovette passare del tempo prima che i miei potessero comprarmela, erano momenti difficili e dovevano pensare a farmi crescere assieme a Grazia, mia sorella più piccola.
Fu un giorno dell’immediato dopoguerra, quando vidi mio padre legare un cuscino sulla canna della sua bicicletta, e a sorpresa mi portò a Monfalcone dove, in una piccola drogheria, mi comprò i miei primi colori ad olio. Trovai subito molte difficoltà ad usare quei colori così densi e pastosi, e quando lui se n’accorse, con tono incoraggiante mi parlò di alcuni pittori dell’ex Jugoslavia che dipingevano su vetro: mi decantò con entusiasmo la bellezza di quei quadri, ma non seppe darmi altre spiegazioni: dopo innumerevoli e inutili tentativi, abbandonai quella maniera anche perché i colori erano finiti.
Fu risparmiando i soldi della merenda, che riuscii a comperare dei colori in polvere che mettevo a sciogliere nell’olio di lino; i pennelli invece, me li costruivo con i peli dell’orecchio di bue accuratamente legati ad un bastoncino. Mancava ancora il supporto da dipingere, ma mi ricordai, che con mia madre sarei dovuto andare al cantiere di Monfalcone dove mio padre lavorava, a prendere degli scarti di legna da ardere: lì, speravo di trovare qualche tavoletta per dipingervi sopra. Partimmo così un mattino di bora fredda spingendo faticosamente un carretto: arrivati nei pressi del cantiere, dopo aver costeggiato un lungo muro raggiungemmo un cancello: da un casotto di legno uscì un guardiano che ci accompagnò presso la staccionata degli scarti: impaziente, mi misi subito a guardare attentamente attraverso le fessure per avvistare qualche tavoletta, ma un refolo di bora più forte, mi riempì gli occhi di sabbia: dovettero poi passare parecchi giorni prima che potessi dipingere su quelle tavolette che ancora oggi conservo gelosamente.
Col passare del tempo, la voglia di dipingere, di capire, diventava più forte; quegli alberi, quei prati, cambiavano colore di ora in ora: dovevo quindi trovare più tempo nell’arco della giornata. Trovai la soluzione facendo scapola, ma le ripetute assenze dalle lezioni causarono delle forti lacune: mi illusi di colmarle scambiando i miei disegni con i compiti di matematica dei miei compagni di classe, ma preferisco non ricordare quel giorno che fu scoperta la faccenda.
Mi feci in parte perdonare quando un giorno, quasi a fatica, rincasai con un grosso libro di “Pinocchio” sottobraccio: lo vinsi come primo premio al concorso di pittura per ragazzi organizzato nella “casa del popolo”, (a quel tempo si chiamava così.) Dovetti però faticare un po’ anche per recuperare il dipinto vincitore, quando si venne a sapere che andavo a dipingere pure sulle pareti di un vecchio granaio che, Don Bruno Cargnel, una meravigliosa figura di prete, aveva destinato a sede delle A.C.L.I. per noi ragazzi di Turriaco. Di Don Bruno conservo ancora un caro ricordo.
Per me ogni parete, di qualsiasi colore, andava bene per dipingervi sopra, ma non avevo mai dimenticato quel lontano giorno che mio padre mi parlò dei pittori dell’ex Jugoslavia che dipingevano su vetro: determinato ripresi così a dipingere in quella maniera, ma mi resi conto delle numerose difficoltà, quando ebbi finalmente intuito che il dipinto doveva essere eseguito dalla parte opposta del vetro e iniziando dai primi piani: esattamente l’opposto della tradizionale tecnica su tela o su tavola, (tecnica nel frattempo mai tralasciata). Dovetti quindi dipingere molto: la pittura era ormai diventata un’esigenza di vita, ma con l’evento dell’età lavorativa, capii che in realtà le esigenze di vita erano due. La pittura cominciò così ad alternarsi con il tempo libero, ma questa scelta però mi permise di dipingere ciò che mi piaceva, senza influenze e condizioni di mercato; i tanti “ismi” non mi interessavano, così come mode e correnti varie.
Ed è stato proprio con il mondo del lavoro che iniziai a mostrare i miei quadri: alle collettive dei dipendenti dell’Italcantieri cui, come mio padre ho fatto parte, qualcuno mi fece subito notare, che un “cantierino” non dovrebbe dipingere alberi e prati, bensì il “saldatore” nei doppifondi della nave, l’infortunio sul lavoro, ed altre cose simili magari in forma più astratta: certamente non era stato capito che il mio lavoro all’Italcantieri, molto simile a quello della miniera, era sicuramente per me una necessità di vita, ma quando stavo sotto quei fumosi e bui doppifondi della nave a trenta metri di profondità, con grosse scarpe antinfortunistiche ai piedi, sognavo di camminare scalzo su quei prati, come facevo da bambino, e che lì sotto mi mancava l’azzurro del cielo, quell’azzurro che ancora oggi ho la presunzione di imitare.
Si la presunzione, perché avevo capito che “l’unico vero Pittore” era Lui, il Sole, Lui mio unico “maestro” che ha saputo insegnarmi quei stupendi colori sin da quando al mattino spalancavo le persiane verdi di quella casetta nel cuore della “Bisiacaria”.
Ma cresceva il desiderio di far conoscere altrove quei colori, gli usi e le tradizioni della mia gente, raccontare qualcosa a qualcuno. La sera, sul prato sotto le stelle, ascoltavo gli anziani raccontare con la semplicità dei cuori, storie di giganti che a gambe divaricate si lavavano la faccia in un laghetto e altre storie vere che a me sembravano tanto lontane. E un pittore deve, raccontare le storie del “suo” tempo, quello presente e quello passato anche se storie semplici e apparentemente insignificanti, ma che come tante tessere di mosaico, compongono la vita di una persona semplice cui qualcuno potrebbe ancora identificarsi. Poi, incoraggiato dalle persone a me più vicine, le prime mostre “ufficiali.” Mi ritrovai così tra i denti di un’ingranaggio cui sentivo “cigolare” le più svariate e strane definizioni sull’arte; ma con scarso interesse da parte mia, tant’è vero che, quando mi chiamarono “pittore di linguaggio naif”, accettai con disinvoltura questa riduttiva collocazione; a me, bastava dipingere col cuore. Ma il dubbio che questa collocazione fosse attendibile, mi venne quando, al Premio Nazionale dei Naifs Italiani di Luzzara, uno dei più prestigiosi d’Europa, presentai dei quadri dipinti su vetro, e, nonostante i vari riconoscimenti precedentemente conseguiti, per parecchie edizioni, senza motivazione alcuna da parte della giuria, sistematicamente me li rispedivano a casa: fu solo per la fermezza e la tenacia di mia moglie Anna Maria (Marisa) e l’incoraggiamento dei miei figli Fulvia e Stefano che, annualmente fortemente demotivato mi ripresentavo a quel Premio. Quando infine mi accettarono, in tutte le successive edizioni, risultai sempre tra i primissimi classificati e vincitore di tre edizioni, (rispettivamente la 19° ediz.1986, 23° ediz. 1990 – 28°ediz. 1995): quindi, per tre volte, quale primo classificato mi è stata conferita la MEDAGLIA del Presidente della Repubblica Italiana. Alla cerimonia di premiazione, ho visto mia moglie con gli occhi lucidi: con lei, ho voluto condividere questo ambito riconoscimento.
Della mia pittura si è scritto molto, ma le piccole grandi cose, quelle custodite nelle pieghe più nascoste dell’anima, sono solo nostre e le possiamo raccontare soltanto noi: non sempre vi si celano ricordi lieti, ma sempre con il profumo della poesia: e se è vero ed è vero che la poesia nasce da una malinconia limpida, a questa si sovrappone dolcemente il colore, allora, nasce l’opera con un’anima. Cercando di essere vero, di queste ricordanze ho voluto cogliere il lato umano prima che artistico, e non vorrei che avessero il sapore di un’autobiografia, non ne avrei la presunzione; scrivere non è il mio modo di comunicare, ma resta la speranza di “raccontare” qualcosa a qualcuno attraverso i miei lunghi anni di lavoro e di amore per la pittura, per la mia terra, per la mia gente. Ora cammino tra le lunghe ombre del tramonto: il pensiero corre insistente e inesorabile verso i mie cari; anche loro hanno condiviso gioie, disagi, rinunce. Sento un profondo senso di amarezza se penso al tempo che non ho potuto o saputo loro dedicare, e quando li rappresento nei miei dipinti, sento soltanto emozioni che non riescono a lenire le lacerazioni profonde che a volte la vita ci riserva.
Ci si prova soltanto.
“Arte” talvolta, è anche questo. Mario Bagat - Monfalcone (GO) - anno 2011
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